MICHELANGELO MERISI “IL CARAVAGGIO”

testi a cura di PIERLUIGI CAROFANO e TAMARA CINI

Caravaggio è stato il promotore di un grande cambiamento stilistico e culturale. La sua figura è ancora attuale, le sue opere continuano a emozionare a quattrocento anni dalla scomparsa. La mostra presenta alcuni dei suoi capolavori che scandiscono un viaggio dalla formazione in Lombardia all’affermazione a Roma, a Napoli e in Sicilia fino agli ultimi anni della sua tragica esistenza. Nel percorso incontrerete maestri che hanno accompagnato la sua riforma pittorica in direzione naturalistica e altri che hanno scelto vie diverse, contaminando la cultura figurativa del Seicento, rendendola ricca ed eclettica. Nelle ultime sezioni un cenno al “dopo Caravaggio”, all’influenza che il grande genio lombardo ha esercitato sui giovani della generazione successiva. Un racconto da vedere e da sentire.

Michelangelo Merisi nasce a Milano nel 1571, ma pochi anni dopo sulla città si abbatte la peste e la famiglia si trasferisce a Caravaggio, piccolo feudo degli Sforza. La peste non risparmia né il padre né il nonno. A 13 anni il giovane entra nella bottega milanese di Simone Peterzano, allievo di Tiziano, che aveva introdotto in Lombardia il colorito veneto. Caravaggio copia probabilmente le numerose opere che il suo maestro esegue per le principali chiese milanesi, fonti inesauribili di modelli iconografici. Viaggiando tra Lombardia e Veneto studia le opere di Giorgione e di Tiziano.

Nella sala è esposta la tela di Moretto, espressione della pittura lombardo-veneta nell’entroterra. I colori sfumano per attaccarsi alla terra padana e sembrano solidificarsi in una realtà che non è più romantica ed eroica, ma terrena.

Guardando i Campi, Caravaggio apprende e sviluppa uno stile che tende alla descrizione di un reale sempre più vero accompagnato da una pittura di luce. Nel Ritratto di letterato di Bernardino Campi la luce diventa protagonista, accende sapientemente la figura, ne definisce i contorni e la rende viva.

Il Ritratto del cardinale Filippo Boncompagni è emblematico di un periodo storico pervaso dai dettami della Controriforma e rappresenta la testimonianza dell’ordinamento socio politico dell’epoca. Filippo era il nipote di Papa Gregorio XIII ed è effigiato da Passerotti secondo i precetti indicati nel Discorso intorno alle immagini sacre e profane (1582) di Gabriele Paleotti. Il testo è un insieme di raccomandazioni nei confronti degli artisti, con precetti definiti affinché producano immagini conformi all’austero devozionalismo tridentino. Nel trattato è presente anche una descrizione delle immagini non ammesse, ad esempio quelle false o mendaci, non verosimili, indecorose e lascive.

La storiografia ritiene che, oltre alla bottega di Peterzano, Caravaggio abbia frequentato anche quelle del Figino e del Lomazzo, artisti di spicco nella Milano del cardinale Carlo Borromeo.

Nella sala è esposta una pala d’altare di Peterzano che raffigura la Presentazione di Gesù al Tempio. Nel dipinto si riconoscono sia la tradizione più arcaica dei modelli di Zuccari e Samacchini sia l’influenza del colorismo veneto di Paolo Veronese. Il dipinto è vivacizzato da un colore fresco e nuovo con colpi di luce che delineano e illuminano i soggetti per evidenziare i contorni e renderli meno statici. La bottega di Peterzano era particolarmente rinomata per i ritratti, che proprio in questo periodo vengono indagati anche nel loro aspetto psicologico e, allontanandosi dalla rappresentazione di uno stato sociale, si incamminano verso il naturalismo che Caravaggio esprimerà in modo superbo.

Intorno al 1595 Caravaggio si sposta a Roma. Senza un lavoro certo né fissa dimora, trova una prima sistemazione presso monsignor Pucci detto monsignor Insalata perché, come racconta Mancini, lo nutriva “la sera con insalata quale li serviva per antipasto, pasto e post pasto, companatico etc”. Successivamente gravita nella zona di via della Scrofa dove si trovano le più importanti botteghe degli artisti di Roma. Collabora con Lorenzo Carli, poi diventa copista di “capocciate” nella bottega del Gramatica e, in seguito, viene indirizzato a dipingere nature morte in quella del Cavalier d’Arpino.

Nella sala sono presenti due opere di Gramatica: Santa Cecilia e un Ritratto muliebre (Salomè?). Gramatica ha dipinto più volte l’immagine di santa Cecilia, considerata patrona dei concerti e Allegoria della musica, a conferma del suo interesse per la cultura musicale. Cecilia è colta nel momento del canto mentre suona la tastiera di un organo: indossa un abito elegante da concerto, il volto dal perfetto ovale è incorniciato da un turbante e il gioco di luci e ombre sottolinea l’intensità dell’esecuzione artistica. Il Ritratto muliebre appare più statico e lascia spazio ai dettagli decorativi della capigliatura impreziosita da gioielli e dall’ampio scollo con merletto, anch’esso decorato.